“Un successo scritto nel ferro”

“Un successo scritto nel ferro”

Il portone d’accesso del Cenacolo Vinciano nel 2018, in piazza Santa Maria delle Grazie. La struttura portante della celebre terrazza Martini di piazza Diaz nel 1993, il Muse di Trento nel 2013, la Borsa Valori di Milano nel 1987 e ancora tutte le parti in ferro disegnate e realizzate per la Fondazione Prada dal 2014 al 2018 , la sede della Banca Popolare di Lodi nel 2000, con Renzo Piano, l’accesso della nuova biblioteca civica Laudense di Lodi, le opere fabbrili della Bnp Paribas di piazza Albania a Roma. O, ancora, nel 1975, l’ideazione di una macchina asciuga-jeans, progettata e realizzata per il signor Fiorucci in persona.

Sono alcune delle opere di pregio che portano la firma della OMMG di Pieve Fissiraga, fondata nel 1964 da Giovanni Marchesi e oggi affidata ai quattro figli, Giampiero, Claudio, Stefano e Giuseppe.Una storia, quella della OMMG, legata a un materiale povero come il ferro, che unisce lavoro artigianalità e genialità, partita a Massalengo, sotto un portico, all’addiaccio, dove Giovanni Marchesi ha dato vita alla prima creazione – un trenino per un giostraio, capace di trasportare oltre 40 persone – e all’impresa. Alla base, come racconta il figlio Giampiero, «c’è una fantasia spregiudicata e inspiegabilmente tramandata ai quattro figli: questo muove tutto».Dal portico si è passati al primo capannone da 400 metri quadrati – nel 1967, dove lavoravano Giovanni, il figlio Giampiero e un operaio – e nei primi anni Settanta la OMMG riesce già a realizzare a esportare commesse e fantasia in Libia, in Tunisia, in Sicilia. La chiave di questo successo sta nelle intuizioni dei progettisti, perché quella della OMMG non è una produzione standard, ma è un complesso sistema di ricerca di soluzioni personalizzate e inventate appositamente per il cliente. «L’innovazione ci ha aiutato negli anni, perché oggi abbiamo macchine per il taglio più veloci, gru per i trasporti, la posa, il carico e scarico, i disegni su block notes sono stati sostituiti dal lavoro al computer dei nostri geometri, ma è la fantasia dell’uomo a trovare soluzioni ed è un lavoro che nessuna macchina può fare – spiega Giampiero -: qui siamo tutti figli d’arte, i miei fratelli e i miei operai (12 addetti dai 30 ai 60 anni, specializzati nella realizzazione dei manufatti, 2 geometri e 2 impiegate amministrative, formati tutti alla scuola “Marchesi”, ndr) e la nostra è la storia di tutti gli artigiani. C’è meno sforzo fisico, ma continua a esserci una comunione tra mente e mani indissolubile: in alcuni momenti non sai se è il cervello a guidare le mani o se sono le mani a comunicare al cervello. Lo sguardo della mia anima non è mai cambiato in questi cinquant’anni di lavoro, non l’ho mai tradito: continuo a lavorare pensando a soluzioni di continuo e divento un leone quando si cerca di approfittare degli artigiani». Quelli che costruiscono gran parte del tessuto economico dell’Italia di ieri e di oggi.

articolo del Cittadino del 12 Dicembre 2018 

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